“La storia vera di Giovanni Falcone non va ricordata soltanto per quello che lui ha fatto contro la mafia. Va ricordata anche per quello che altri hanno fatto contro di lui”. Queste sono le parole che il magistrato Giuseppe Ayala ha rilasciato ai microfoni della trasmissione “La Storia Siamo Noi”, in una puntata del 2011.
E allora, prendendo spunto da queste parole, noi pensiamo che sia giusto ricordare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro, rinfrescandoci un po’ la memoria.
Il 10 febbraio 1986 inizia il maxiprocesso contro cosa nostra che vedeva imputate 475 persone per crimini legati alla criminalità organizzata.
Il 16 dicembre 1987, di questi 475 imputanti, 360 vennero condannati. 2665 anni di carcere, non includendo gli ergastoli comminati ai diciannove boss di punta della mafia e ai killer.
Una sentenza storica. Falcone è il trionfatore. Sembra essere il riscatto dello stato contro la mafia. Il riscatto della Sicilia.
Ma neanche un mese dopo, nel gennaio 1988, per Giovanni Falcone arriva una prima sconfitta.
Il Consiglio Superiore della Magistratura doveva nominare il nuovo capo dell’ufficio istruzione di Palermo.
A questo proposito Ayala dice: “Nino Caponnetto aveva deciso di tornarsene a Firenze e l’erede naturale era Falcone. Cioè, non ci sarebbe neanche dovuto essere un dibattito”. Ma a quanto pare l’elezione di Falcone per una parte del CSM non era così scontata.
Infatti nella scelta tra Antonino Meli e Giovanni Falcone, il CSM scelse Meli con la motivazione formale che quest’ultimo aveva un’anzianità superiore rispetto a quella di Falcone.
Fernanda Contri, membro del CSM dal 1986 al 1990, dichiara: “mi sono sempre chiesta perché il CSM bocciò Falcone”. E aggiunge: “nel mio intervento dissi che quei 16 anni (di anzianità), che rappresentavano un divario dal punto di vista dell’età, erano compensati da una esperienza” di Falcone “specifica, straordinaria, che tutto il mondo ci invidiava”.
Una vicenda che segnò profondamente Giovanni Falcone. Infatti la Contri afferma che a tal proposito il magistrato disse: “ma voi l’avete capito che il Consiglio Superiore mi ha consegnato alla mafia?”
In determinati momenti della propria carriera, Falcone va quindi incontro a una serie di ostilità anche da parte dei propri superiori.
E’ questo il caso dello scontro con il procuratore generale Pizzillo.
Il giornalista Francesco La Licata ci ricorda che “il procuratore generale Pizzillo esternò pubblicamente tutta la propria avversione per il lavoro di Falcone dicendo che così facendo, l’allora giudice istruttore, rovinava l’economia della Sicilia”.
Dal diario di Rocco Chinnici, 18 maggio 1982: <<Ore 12 vado da Pizzillo … Mi dice chiaramente che devo caricare di processi semplici Falcone, in maniera che cerchi di scoprire nulla perché i giudici istruttori non hanno mai scoperto nulla>>.
Nonostante l’evidente insofferenza di una parte della stessa magistratura nei suoi confronti, Giovanni Falcone però si dimostra un uomo moderato che pubblicamente preferisce non alzare mai i toni.
Nell’estate del 1988 però è diverso, da Marsala, dove è procuratore capo Paolo Borsellino, Giovanni Falcone rilascia un’intervista che provoca molto clamore. Falcone dichiara: “a Palermo stanno distruggendo il pool antimafia”.
Ayala dice che al Palazzo di Giustizia la linea era cambiata. Ovvero “la mafia non doveva essere più una priorità. Tutti si dovevano occupare di tutto. Nessuna specializzazione era più da incoraggiare”.
Per la prima volta Giovanni Falcone, ferito e combattuto da una parte di coloro che lo avrebbero dovuto appoggiare nella lotta contro la mafia, sembra voler mollare e chiede il trasferimento al CSM. Ma di quel trasferimento non se ne fa nulla.
A Palermo continuano i veleni, le invettive e le operazione di screditamento di Falcone.
Nel giugno del 1989 una serie di lettere anonime accusa il Magistrato e i vertici della Polizia di comportamenti spregiudicati e immorali. I giornalisti ribattezzano lo scrittore di tali lettere con il nome de “il corvo”.
Secondo la sorella di Giovanni, Maria Falcone, <<le lettere del corvo erano la preparazione a quello che Buscetta aveva detto quando cominciò a fare le sue rivelazioni a Giovanni: “La distruggeranno prima nella sua immagine e poi fisicamente” >>.
Il 21 giugno del 1989 avviene poi un altro episodio che, in base a quanto riportato da una puntata del programma Mixer del 1993, fa dire a Falcone che “si era creata la cosiddetta saldatura tra due interessi. L’interesse del potere criminale e l’interesse del potere politico”>>.
L’episodio in questione è il fallito attentato dell’Addaura.
La preoccupazione di Giovanni Falcone era grande perché diceva: “dai mafiosi posso difendermi, ma mi viene difficile difendermi da chi, per compito istituzionale, dovrebbe badare alla mia incolumità”. Quella dell’Addaura “è solo un’operazione rimandata”, disse.
Secondo il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, nel caso dell’Addaura, se “cosa nostra è ricorsa ad accordi con soggetti esterni a tale organizzazione già allora, erano evidentemente stati creati dei legami che poi saranno proseguiti nel tempo. Abbiamo motivi di ritenere – aggiunge Lari – che questi contatti possano essere proseguiti anche successivamente con riferimento alla strage di Capaci e a quella di via D’Amelio”.
In questo scenario di lotta e di contrasto all’azione che Giovanni Falcone stava conducendo in Sicilia si inseriscono poi gli aspri dissidi tra il magistrato e il procuratore Giammanco. Da un articolo del 23 giugno 1992 di Giuseppe D’Avanzo su Repubblica: “trentanove furono le occasioni di conflitto e di dissidio con il procuratore capo Pietro Giammanco che mise Giovanni Falcone nella condizione di non lavorare come avrebbe potuto e saputo, che lo costrinse, di fatto, a dover abbandonare la Procura e Palermo. Si va dalla decisione di togliere al giudice assassinato la delega per le inchieste di mafia, alla comunicazione che la riunione settimanale del pool non si sarebbe più tenuta nell’ufficio di Falcone al pianterreno del Palazzo, ma al primo piano nello studio del procuratore capo. Dalla circostanza che in qualche occasione Falcone fu costretto anche ad attendere a lungo in piedi dinanzi alla porta di Giammanco prima di essere ricevuto (circostanza pregna di significati in una città, come Palermo, attentissima ai segnali di prestigio e in un Palazzo, come quello di Giustizia, occhiutissimo nello scorgere le mosse che legittimano e quelle che delegittimano)”.
Falcone venne fatto saltare in aria alle 17.58 del 23 maggio 1992 in un attentato in cui persero la vita, oltre a lui, anche la sua compagna Francesca Morvillo e tre uomini della scorta:Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro.
Noi potremmo continuare ad elencare gli uomini di “Stato” che hanno contrastato e attaccato ingiustamente Giovanni Falcone. Potremmo ricordare quella vergogna tutta siciliana che è Salvatore Cuffaro, in arte “Totò vasa vasa“, che nel 1991 attaccò in maniera indegna e schifosa Giovanni Falcone.
Potremmo ricordare l’attuale sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che lo accusò di aver “tenuto chiusi nei cassetti” una serie di documenti riguardanti i delitti eccellenti di mafia.
Ma per ricordare nello specifico tutti gli attacchi personali e le delegittimazioni professionali non basterebbero forse dieci pagine.
Dobbiamo dire che oggi, il 23 maggio 2013, molti, in maniera indegna e senza alcun titolo, commemorano ipocritamente Giovanni Falcone. Pezzi dello stato che lo hanno combattuto. Esponenti politici collusi con la mafia. Pezzi della magistratura che, forse anche per invidia, lo hanno avversato e delegittimato.
Dando grande risalto e merito alla cosiddetta “Primavera di Palermo”, dobbiamo però evidenziare che non c’è solo una parte di classe dirigente e politica del paese che oggi ricorda ipocritamente Giovanni Falcone. Tra coloro che lo ricordano ipocritamente c’è anche una parte di cittadini. Una parte di siciliani.
A tal proposito ecco le parole di un altro grande uomo siciliano che con Falcone ha condiviso successo e tremenda fine, Paolo Borsellino. 24 Giugno 1992: <<Ricordo la felicità di Falcone e di tutti quelli che lo affiancavamo, quando, in un breve periodo di entusiasmo conseguente ai dirompenti successi originati dalle dichiarazioni di Buscetta, egli mi disse: “la gente fa il tifo per noi”. Ma il tifo per noi sembrò durare poco. Perché ben presto sopravvenne quasi il fastidio, l’insofferenza al prezzo che la lotta alla mafia doveva essere pagato dalla cittadinanza. Insofferenza alle scorte. Insofferenza alle sirene. Insofferenza alle indagini”>>.
Ecco, oggi noi pensiamo che Giovanni Falcone debba essere commemorato ricordando non solo le sue vittorie, ma anche le sue sconfitte. Sconfitte determinate dalla collusione e dalla viltà di una parte della classe politica, di una parte della classe dirigente e di una parte della cittadinanza.
Oggi, siamo convinti che Giovanni Falcone vada ricordato con la forza di combattere e sconfiggere il malaffare mafioso e non, attraverso l’onestà e il coraggio, ogni giorno e non solo il 23 maggio.
Simone Luca Reale
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