Ieri ho effettuato, insieme ad alcuni attivisti ed alla portavoce alla regione Valentina Palmeri, una visita al CIE di Trapani. Nonostante fossi già andato nel marzo di quest’anno ho voluto, stante l’ondata di migranti che ha colpito la Sicilia quest’estate, verificare se vi fossero condizioni di sovraffollamento e parlare con i “detenuti” e i lavoratori, forze di polizia, esercito e personale della cooperativa che gestisce il servizio.
Le persone attualmente “detenute” al CIE sono circa 150 manca l’acqua calda, le coperte, le lenzuola, i vetri delle finestre e le porte. C’è un solo medico ed un solo infermiere. Questi esseri umani vivono dentro enormi gabbie all’interno delle quali ci sono delle stanze che nel tempo sono state distrutte. Ricordo che nel CIE vengono portate, anche da altri CIE presenti sul territorio italiano, persone di ogni nazionalità extracomunitaria sprovviste di documento di riconoscimento o con documento scaduto. Persone arrivate in Italia, anche da molti anni, a cui è soltanto scaduto il permesso di soggiorno o il documento di riconoscimento con cui sono arrivati, oppure, e questi sono i casi più gravi, a fine pena detentiva, la gran parte per reati connessi allo spaccio, in attesa del rimpatrio spesso negato dal paese di provenienza. Il processo d’identificazione è molto lungo e spesso farraginoso poiché affidato al riconoscimento tramite impronta digitale. Questo comporta che queste persone siano spesso detenute per mesi in queste gabbie senza che sia data loro anche solo la possibilità di leggere. Sono per tutto il giorno costrette a non fare nulla se non girare nella gabbia. Questa condizione determina, come ci ha detto in un perfetto inglese un ragazzo proveniente dal Ghana, che le persone presenti lì impazziscano per la rabbia di essere detenuti senza conoscenza dei tempi di rimpatrio o della loro sorte e ciò determini la nascita di sommosse, rivolte e fughe.
A tutto ciò si aggiunge che a causa di una gara al ribasso la cooperativa che fornisce i pasti ed i servizi di mediazione culturale e linguistica, sebbene la maggior parte di loro parli un perfetto italiano anche con accento milanese o toscano, ritarda nel consegnare i pasti e gli stessi sono, da quanto riferitomi, immangiabili. Il budget a disposizione della cooperativa per coprire le spese dei pasti ammonta a meno di nove euro al giorno a persona e questo fa sì che come si può ben capire i pasti forniti non possono che essere di pessima qualità.
Ma al di là di tutto questo che è già di per sé tristemente degradante e mi fa tornare alla mente “Se questo è un uomo” di Primo Levi, ciò che ci siamo tutti domandati è : perché tutto questo? Perché arrivare a rinchiudere esseri umani in gabbie, senza nulla da fare, fornendogli cibo pessimo, fino a farli arrivare a diventare cattivi? A chi serve? Credo che questa società non abbia bisogno di altri uomini cattivi, né di spendere denaro pubblico per ingabbiare chi fugge da condizioni di estrema povertà.
L’Italia si deve impegnare in sede europea, imponendosi, ad elaborare una politica comune dei flussi migratori, individuando strategie che servano ad accogliere, senza sperperare denaro pubblico, e siano sempre rispettose dei diritti umani. Detenere persone così non serve a nessuno, né a loro, né alla nostra società, né a chi lì lavora. Serve solo ad alimentare il razzismo verso esseri umani senza colpa se non quella di essere fuggiti dalla disperazione e distrarre l’attenzione dai veri motivi che stanno dietro al mantenimento di questi centri.
Su questi motivi cercherò, con tutti i mezzi a mia disposizione, di avere risposte dai ministeri competenti. E’ una situazione che va risolta a vantaggio della società nel suo complesso.
Vincenzo Maurizio Santangelo
Portavoce Movimento 5 stelle Senato