Ogni cittadino ha il dovere, oltre che il diritto, di impegnarsi in prima persona per cambiare un sistema divenuto ormai inaccettabile.
(A cura di Simone Luca Reale) Viviamo in un periodo di radicali ristrutturazioni economiche e sociali all’interno di una società caratterizzata da un’endemica disoccupazione non facilmente riassorbibile.
La crisi fiscale dello Stato ha raggiunto livelli preoccupanti; abbiamo crescenti divaricazioni tra nord e sud del mondo a cui si accompagnano tensioni separatistiche che fanno si che le aree economicamente più forti cerchino di scrollarsi di dosso il peso delle aree più deboli.
Ciò è particolarmente vero per un paese come l’Italia in cui la crisi economica mondiale si è andata ad aggiungere a una crisi strutturale pre-esistente che è sfociata in una condizione divenuta ormai esasperante.
Una crisi strutturale dovuta a un trentennio di governi disastrosi dal punto di vista politico ed economico, che incapaci di rispondere, seriamente ed efficientemente, alla crisi fiscale dello stato da essi stessi provocata, hanno ben pensato di puntare su un restringimento di quei diritti sociali e civili conquistati con il sangue dei padri fondatori della Repubblica Italiana.
E’ così che da decenni vediamo in azione quel potere anarchico di cui parlava Pasolini. Un potere che arbitrariamente sceglie di fare e perseguire tutto ciò che vuole indipendentemente dalla logica che prevede il rispetto e la valorizzazione del bene comune.
Ciò, in Italia, come abbiamo detto, ha dato origine a una crisi politica, economica, sociale, morale strutturale ed endemica che si è andata ad aggiungere alla crisi generata da quel mondo sporco di illegalità legalizzata che comprende buona parte del mondo economico/finanziario.
Una crisi che partita dall’alto si è riversata senza alcuna pietà e in maniera particolarmente dura su quel mondo di lavoratori che con il loro sudore hanno contribuito, e che ancora contribuiscono, a tenere in piedi l’intero sistema. Un sistema che svariate volte nel corso degli anni è stato messo di fronte all’impossibilità di proseguire sulla strada dell’auto-arricchimento ma che ha evidenziato un’assoluta incapacità di autoriformarsi nella direzione di una più equa distribuzione della ricchezza economica e non.
Ed è per questo che oggi, sull’orlo della bancarotta, in un paese, l’Italia, schiavo del proprio debito pubblico, in una Regione, quella siciliana, con un debito di più di 5 miliardi di euro e quindi a rischio default, è giunto il momento di dire basta.
E’ giunto il momento di dire basta ad un sistema clientelare che ha consentito l’arricchimento di pochi a scapito dei cittadini onesti che con il sudore della loro fatica hanno contribuito in maniera determinate alla costruzione di quello che una volta poteva essere definito un paese civile, ma che oggi può essere definito il paese dell’illegalità e dell’ingiustizia sociale.
Un paese profondamento corrotto. A tal proposito facciamo riferimento alla classifica pubblicata il primo dicembre 2011 da Transparency International in cui l’Italia si piazza al 69° posto con un CPI (Indice di Percezione della Corruzione – “il più conosciuto fra gli strumenti di TI”) di 3.9, dietro paesi come Brunei, Rwanda, Macao.
Ma qual è oggi l’operazione che l’establishment politico/economico cerca di portare avanti?
E’ un’operazione che mira all’oblio, all’omissione, all’autoassoluzione attraverso la colpevolizzazione di forze esterne che sono, si colpevoli, ma nella misura in cui è colpevole al tempo stesso il sistema politico/economico italiano.
Ed allora ci ritroviamo gli stessi personaggi, facenti parte di quel sistema che ha causato la crisi che ha colpito i cittadini, che si presentano oggi sotto le mentite spoglie dei salvatori della patria, quando in realtà gran parte di essi ha guidato per anni quelle istituzioni economiche, che sono state, non solo incapaci di prevedere e reagire all’arrivo della bufera economico/finanziaria nonostante ciò rientrasse tra i propri ruoli, ma addirittura – tali personaggi – sono stati artefici di una catena di eventi degenerati nella crisi odierna.
A ciò va aggiunta una doverosa aspra critica alla subalternità del sistema politico rispetto al sistema economico (i cosiddetti poteri forti), e al ventennio di governi disastrosi che hanno segnato l’Italia.
Abbiamo avuto un governo, quello Berlusconi, che ha portato il paese allo sfascio e che se n’è fregato dei cittadini italiani ed in special modo del Sud Italia e della Sicilia, nonostante questa sia sempre stata un fondamentale bacino elettorale per la destra.
Il disastro è talmente evidente che sembra superfluo elencare fatti riguardanti il governo Berlusconi.
Ma una critica altrettanto aspra va fatta al Pd, ai suoi dirigenti e a tutta l’area di Centro-Sinistra. Un establishment politico incapace di rispondere ai bisogni dei cittadini e di incarnare una domanda di cambiamento proveniente dalla popolazione.
A tale considerazione va aggiunta la vergogna siciliana.
Il Pd che per molti è l’erede diretto del partito che fu di Pio La Torre, caduto per essersi impegnato nella lotta contro la mafia, ha fatto la scelta scellerata di appoggiare un Governatore, Lombardo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. A questo proposito visto che in questi giorni ricorreva il ventennale dell’assassinio di Paolo Borsellino vorrei ricordare le sue parole: “I politici, le organizzazione disciplinari delle varie amministrazioni (…) devono trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituiscono reato ma rendono il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. (…) Bisogna non solo essere onesti ma apparire onesti!”
E’ per questo e per tanti altri motivi che sono convinto che buona parte della classe politica e dirigente deve farsi da parte.
Ed è qui che veniamo al MoVimento 5 Stelle.
Io mi chiedo chi è che ha paura dei temi portati avanti dal MoVimento e precisamente parlo di temi come: Lavoro; Ambiente; Connettività; Legalità; Riforma della classe dirigente e politica; Taglio delle spese della politica; Trasparenza dei processi decisionali; Condivisione dei processi decisionali attraverso una partecipazione democratica dal basso; Riforma del sistema economico e tanto altro ancora.
Chi è che ha paura di ciò. Chi?
Per questo è’ giunto il momento di dire basta.
Basta a un paese, l’Italia, in cui gli stipendi sono tra i più bassi d’Europa ma in cui i nostri manager pubblici sono tra i più pagati al mondo.
Basta a un paese in cui a volte non riusciamo neanche a calcolare a quanto ammontino effettivamente gli stipendi dei nostri parlamentari e dei nostri amministratori pubblici.
Un paese in cui le tasse sfiorano livelli record, quasi nordeuropei, senza tuttavia avere un sistema di servizi pubblici e sociali nemmeno paragonabile con il Nord Europa.
Un paese in cui la mobilità sociale e pressoché assente. Dove se sei figlio di operaio molto probabilmente sei destinato a fare l’operaio e che spesso fai carriera solo se hai conoscenze ed amicizie “illustri”.
Basta a dover essere costretti a fuggire dalle nostre bellissime terre, meridionali e non, per mancanza di lavoro e opportunità.
Basta essere vittime di contratti trimestrali che si reiterano per anni.
Basta a un paese che cade a pezzi alla prima alluvione, al primo terremoto, e in cui la retorica e la demagogia la fanno da padrone.
Perché demagoghi sono coloro che si appellano all’articolo uno della Costituzione Italiana: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, ma che poi, in realtà, se ne fregano del Lavoro e del Popolo Italiano.
La vera antipolitica sono coloro che chiusi nel Palazzo stanno a guardare il paese che cade a pezzi tacciando di antipolitica coloro che denunciano una situazione drammatica.
La demagogia, il populismo, mettiamo che di questo si tratti, non hanno motivo di esistere se la classe politica e dirigente svolgesse il proprio ruolo con efficienza e decoro.
Per tutti questi motivi sentiamo di doverci impegnare in prima persona per cambiare la situazione politica, sociale ed economica, della Sicilia e dell’Italia intera.
Una situazione ormai divenuta drammatica e insostenibile per tutti i cittadini onesti.
Affinché ciò possa essere possibile è necessario l’impegno di Impiegati e Liberi Professionisti, di Imprenditori e Operai, Studenti e non, Giovani e Vecchi.
E’ necessario riuscire a incanalare la nostra rabbia per rendere concreto il cambiamento di cui sentiamo e abbiamo bisogno.
Fondamentale è l’impegno di tutta la Società Civile. Dovunque voi siate, in qualsiasi parte del mondo voi vi troviate potete dare il vostro contributo, ricordando che non ci sono capi e/o dirigenti ma che tutti sono sullo stesso piano, con gli stessi diritti e doveri perché “Ognuno Conta Uno”.
2 commenti
Un articolo che accusa e dice “basta”, in una parola: populista!
http://it.wikipedia.org/wiki/Populismo : “Il largo uso che i politici e i media fanno del termine “populismo” ha contribuito a diffonderne un’accezione fondamentalmente priva di significato” ..
“Libertà di pensiero non vuol dire libertà di errare e spropositare” . /A. G./