Tra i vari interventi legislativi varati dal Governo Monti nell’ultimo anno, uno in particolare merita una approfondita riflessione: l’IMU.
Accanto infatti alla valanga di tasse e balzelli che hanno prostrato e depresso tutti gli italiani, l’introduzione dell’Imu, con questi parametri, segna un momento decisivo per la storia fiscale di questo paese. Quasi tutti i cittadini prima (ed i politici in campagna elettorale poi) hanno sottolineato il grave effetto negativo che l’Imu ha avuto sugli italiani, che lamentano il trasferimento delle tredicesime appena percepite dal reddito familiare al fisco insaziabile. A questo proposito è utile richiamare anche la recente presa di posizione dell’Europa che ha sottolineato l’iniquità di questa tassa e la necessità di una modifica, al fine di conferire all’Imu «un maggiore effetto redistributivo».
Nonostante alcune prese di posizioni dobbiamo pero dire che in pochi hanno evidenziato un fatto particolarmente ingiusto, aberrante e massimamente distruttivo insito nella natura stessa dell’IMU, la non deducibilità di questa tassa per le aziende. Se, infatti, al momento dell’introduzione dell’ICI, la tassa di possesso era vista come un contributo tutto sommato marginale, con i nuovi parametri è di fatto diventata una nuova Irpef o Ires, che, non essendo legata ai ricavi di bilancio, esige un “contributo” dalle imprese di fatto insostenibile.
Prendiamo l’esempio di un’azienda proprietaria di un capannone di 600 mq, nel quale svolge la sua attività, e ipotizziamo che la stessa abbia dichiarato utili per 14.000 euro nell’anno in corso; la quota da versare all’erario sarà di circa 5.500 euro, con un netto di 7.500 euro circa. Considerato che la tassa di proprietà quantificata da Monti ammonterebbe a circa 6.000 euro, i ricavi dell’azienda si ridurrebbero a 1.500 su un reddito di 14.000 euro.
A conti fatti il prelievo finale risulta essere dell’ 85%. Ovviamente se l’azienda avesse utili più bassi o se fosse in perdita (cosa che in questi ultimi due anni risulta abbastanza frequente) il prelievo dell’Imu non calerebbe, portando a percentuali di prelievo sulle aziende superiori al 100%.
Tutti i settori produttivi sono stati coinvolti in questo dramma fiscale con il risultato di un tracollo economico apparentemente inarrestabile.
Primo fra tutti il settore edile, che è stato immediatamente colpito da una tassazione sugli immobili invenduti che sta portando al fallimento aziende “sane”, colpevoli solo di essere patrimonializzate con immobili piuttosto che con liquidità. Al secondo posto il settore turistico, risorsa del paese, che risulta essere massacrato per via della tassazione sugli alberghi.
Tutte quelle strutture di medie-piccole dimensioni rischiano di trovarsi a pagare Imu insostenibili a fronte di guadagni generati con attività stagionali e con perdite di esercizio devastanti. Al terzo possiamo posizionare sicuramente l’agricoltura i cui magazzini e le grandi stalle, scarsamente produttivi, sono diventati improvvisamente voragini da 15-20.000 euro annui a fronte di ricavi modestissimi. Industria e commercio seguiranno a ruota verso la chiusura o il fallimento trascinati tra l’altro da un’economia mai così stagnante. Come contromisura disperata, tutti (imprenditori o semplici cittadini) stanno ricorrendo alla svendita del patrimonio immobiliare, ma nonostante il deprezzamento, in alcuni casi del 50%, non si riesce a vendere.
È, quindi, importantissimo agire immediatamente pensando alla riduzione e soprattutto alla deducibilità di questa tassa che, priva di ogni logica economica, sta per diventare l’ancora con cui far affogare definitivamente la piccola e media impresa e con essa tutto il paese.
Leonardo Russo – M5S Messina
2 commenti
ma se viene rivista e abolita, l’IMU, gli sfortunati che hanno versato tutti quesi soldi nel 2012, potranno richiedere il rimborso per poter riavviare alla meglio le piccole imprese malcapitate?
La Regione Sicilia a statuto autonomo può non recepire la legge che immette la tassazione Imu?
Gradirei risposta.